Marina Rigolone
Milanese, laureata in Architettura con indirizzo storico e una tesi sui palazzi Bagatti Valsecchi.
Inizia a lavorare presso studi di architettura d’interni dove si orienta verso la decorazione e il disegno a mano libera.
Da autodidatta, con la tecnica del trompe l’oeil, personalizza porte, pareti, oggetti e mobili. A partire dal 1984 avvia la collaborazione con diverse riviste per le pagine del fai da te, case editrici (Fabbri e De Agostini) per i manuali e ditte di materiali per belle arti o per il disegno delle carte da utilizzare per il decoupage.
I soggetti sono dapprima fiori, nature morte e paesaggi ma presto gli animali diventano i prediletti.
Organizza la sua prima personale nel 2008 presso la Libreria Equilibri a Milano.
Partecipa alla collettiva “Il verde” presso la Galleria L’Acanto a Milano, da un’idea di Mariella Torre, con l’opera “Ritratto di Verdegatto”. Il catalogo cosi la definisce: “L’occhio riposa sulle superfici verdi e tutto il nostro essere ne viene avvolto e rasserenato, ma l’occhio attento del gatto ci suggerisce che comunque bisogna essere sempre vigili”.
Sue opere sono riportate sulle copertina di due libri: “La vicina di casa” e “ Milano in giallo: le indagini del commissario Tinon” di Maria Cristina Flumiani.
Partecipa esponendo quadri rappresentanti cani e gatti a “Slegami” nel 2017, iniziativa a sostegno del territorio metropolitano e degli amici a quattro zampe all’interno della manifestazione Green City. Espone varie opere tra cui le ultime che coniugano strane coppie in rapporto amore/caccia nonché gesti affettuosi fra animali che la natura e l’uomo hanno reso preda e predatore.
Partendo dal concetto che il cane é il migliore amico dell’uomo grazie ad un amicizia libera, disinteressata ma sensibile, esiste una ricca iconografia che ci informa sulla variazione delle razze e sulla dinamica del ruolo del cane nella società. Fin dall’antichità, nello scorrere dell’arte universale, i cani erano rappresentati nelle scene di caccia e pesca, di guardia, come il “cave canem”romano, nelle scene pastorali fino a divenire animali domestici o da compagnia contendendo il loro ruolo ai gatti. La religione di alcuni popoli ha dato loro anche un ruolo simbolico e li ha divinizzati, a volte compaiono nelle sculture funerarie come simbolo di fedeltà verso i loro padroni. I grandi ritratti ufficiali delle corti comprendono quasi sempre la presenza di cani da caccia, da compagnia o da salotto come simbolo d importanza.
Nel ‘500 i viaggi d’esplorazione portano nelle corti anche animali esotici ma, per gli artisti il ruolo del cane rimane sempre primario.
Nel ‘600 l’arte conferma il gran numero di razze canine, oltre al cane in scenari venatori troviamo anche cani di piccola taglia, magari agghindati vezzosamente, o l’abbinamento di cani e mendicanti.
Nel ‘700 troviamo i “pittori animalisti”, dai fiamminghi e nord europei fino a francesi e italiani, il naturalista Linneo studia la zoologia, nasce la Equestrian Art. Si dipingono grandi nature morte per adornare le sale da pranzo, come conseguenze di atti venatori in cui il cane ha avuto il suo momento di gloria.
Nell’800 nasce un genere pittorico i cui autori sono chiamati “les animaliers”: cani di razze pregiate o semplicemente i preferiti divengono i soggetti di una ricca iconografia. L’abilità del pittore viene usata per immortalare l’effige del proprio beniamino e conservarne cosi la memoria. L’esecuzione del ritratto ha puramente ragioni affettive e non più di cane trofeo, simbolo di prestigio da trasmettere ai posteri. Il solo ritratto del cane o del gatto consiste nel renderlo parte integrante della famiglia e mantenerne un ricordo duraturo. Nonostante l’avvento della fotografia il commissionare un “portrait” rimane un omaggio a chi, senza nulla chiedere, ha condiviso la nostra vita quotidiana proteggendoci dalla solitudine e portandoci gioia.
Un epitaffio di Byron ben ci descrive il cane : “Qui giacciono i resti di chi possedette Bellezza senza Vanità, Forza senza Insolenza, il Coraggio ma non la Ferocia e tutte le virtù dell’uomo senza alcuno dei suoi vizi” (Epitaph to a Dog) rendendolo cosi ancor più degno di un bel ritratto che lo ricordi anche ai posteri. Il rapporto fra uomini e cani fu studiato anche dal filosofo Kant che sostenne che il cuore di un uomo può essere giudicato da come egli tratta i cani, parole che a distanza di due secoli sono ancora attuali.